L’arte non nasce nei musei o per mano di critici d’arte e curatori di eventi.
I musei ospitano opere d’arte ma non partecipano della loro genesi che avviene in spazi ristretti e molto meno sfarzosi. Piet Mondrian ha compiuto la più grande rivoluzione dipingendo in piccoli e modesti appartamenti; il suo ultimo studio a New York era in parte arredato con mobili fatti con legno derivato da cassette di frutta. Henri Matisse ha realizzato dei capolavori in una stanza d’albergo. Tutto ciò che serviva a Julius Bissier per creare un mondo di bellezza era un tavolo.
Passa del tempo e finalmente gli addetti ai lavori prendono atto dell’importanza di certe opere, importanza già ad esse attribuita da pochi intenditori i quali, ben prima delle proclamazioni ufficiali, ne avevano riconosciuto qualità e significati. Tali opere diventano parte di collezioni private che spesso vengono donate a musei i quali le conservano e dietro compenso le rendono fruibili ad un più vasto pubblico. Nel corso del tempo musei quali Paris Beaubourg, London Tate, Amsterdam Stedelijk, NYC Metropolitan e MoMA hanno acquisito alcune delle opere più importanti del Novecento.
I musei di arte contemporanea sono invece luoghi che presentano al pubblico arte fresca di giornata. Spesso gli artisti creano le loro opere on site, vale a dire nei luoghi stessi che poi le espongono, promuovendole. Direttori, critici e curatori, i quali in passato non hanno quasi mai compreso l’opera degli artisti innovatori, sembrano essere diventati oggi così bravi da riuscire persino ad annunciare in anticipo l’arte che verrà.
Quando mai l’arte nuova è stata tanto prontamente riconosciuta e celebrata dai contemporanei?
Potrebbe forse esserlo in periodi in cui l’espressione artistica si fonda su linguaggi consolidati e canoni condivisi ma non certo oggi dopo che tutto è stato messo a soqquadro ed una gran confusione regna su ciò che si possa chiamare arte. Noi dovremmo credere di trovarci di fronte ad un’opera d’arte nel momento stesso in cui essa ci viene presentata solo perché sponsorizzata da gallerie, mercanti, giornali e televisioni? Ci si può fidare delle capacità di discernimento e dell’onestà intellettuale di questa gente? O non si tratta forse di attribuzioni di valore programmate in anticipo secondo precise strategie commerciali? La storia insegna che quando è l’arte a rincorrere il pubblico, non si va molto lontano.
A partire dagli anni Ottanta se ne sono viste di cose insignificanti e brutte nei musei dell’arte contemporanea. Anche musei che ospitano opere dei maestri del Novecento non si dimostrano sempre all’altezza del compito. Per fare solo un esempio, i più sostanziali significati dell’opera di Piet Mondrian non sono stati ancora ben compresi da “esperti” che lavorano presso il Kunstmuseum Den Haag (già Gemeentemuseum) a L’Aja nei Paesi Bassi il quale ospita importanti dipinti del maestro olandese. E quando è un artista a farglielo notare, fornendo ampie spiegazioni al riguardo, quelli alzano muri per non dover ammettere la loro incompetenza. Vedi dettagli >
Gli attuali curatori del MoMA a New York City pensano che il capolavoro di Mondrian Broadway Boogie Woogie suggerisca la griglia di strade perpendicolari di Manhattan e le luci di Broadway. Come se, dopo una vita spesa a mettere a punto una visione universale della natura e dell’esistenza umana, l’artista si fosse improvvisamente dedicato a dipingere la mappa di una città.
Mondrian ha venduto quel dipinto per seicento dollari ad un privato il quale l’ha poi donata al MoMA. Seicento dollari del 1943 equivalgono probabilmente oggi a seimila o diecimila dollari. Un’inezia in confronto alla cassa continua generata dai biglietti d’ingresso che in ottanta anni il pubblico ha versato al museo per vedere quel dipinto. Senza contare il valore immenso dell’opera in sé.
Intelligenza e senso dell’etica vorrebbero che almeno una parte di quei profitti fossero destinati a sostenere delle attività didattiche finalizzate a spiegare gli autentici significati di quel dipinto. Io gli ho proposto una lettura – www.piet-mondrian.eu – ma quelli si sono trincerati. Come osa un artista saperne più di noi che possediamo l’opera? Loro possiedono l’oggetto, io possiedo i suoi significati ed il pubblico può attendere…
Altro esempio disarmante e quasi patetico è il MAXXI (Museo per le Arti del Ventunesimo Secolo) di Roma. Per l’apertura del nuovo museo il prof. Oliva ha curato una mostra di un certo De Dominicis che sembrava un funerale. L’Oliva si pregia di aver allestito altrove un’esposizione di Giorgio De Chirico, un pittore che nel panorama artistico del Novecento ha rappresentato una posizione miope e reazionaria.
Durante un incontro, suggeritomi nel 2003 da Alain Elkann con il sig, Paolo Colombo – allora direttore del nascente MAXXI – lo stesso mi disse che loro prediligevano “l’arte rappresentativa”, vale a dire, figurativa. Evidentemente per il sig. Colombo l’arte astratta non rappresenta nulla. Questi sarebbero i personaggi che dovrebbero guidarci verso il ventunesimo secolo.
Una volta c’erano gli storici ed i critici d’arte. Ora abbiamo curatori di eventi.
Storici e critici d’arte, i quali studiavano, approfondivano per poi spiegare ed educare il pubblico, sono stati sostituiti dai curatori la cui funzione è principalmente quella di organizzare eventi per incrementare il numero di ingressi nei musei e vendere cataloghi pieni di grandi immagini e scarsi di contenuti. Studi, approfondimenti ed adeguate spiegazioni poco importano. Durante l’incontro sopra citato, il sig. Colombo aggiungeva che “non è poi così importante che il pubblico capisca”. E questa è gente pagata con soldi pubblici.
Poiché le mostre d’arte si sono trasformate in un commercio redditizio, la figura del curatore, che allestisce eventi sensazionali per attrarre masse di consumatori (..venghino signori venghino..), risulta più congeniale della figura degli storici e dei critici che scrivono lunghe ed impegnative dissertazioni che si vendono poco e male. Il curatore non deve necessariamente essere una persona colta; basta frequentare un corso per aspiranti curatori offerti da alcuni musei d’arte contemporanea.
Non sarebbe tutto questo male se, oltre a produrre clamore e profitto i musei d’arte contemporanea generassero anche idee, bellezza ed armonia. Majakowskij diceva che era necessario elevare le masse all’arte. Oggi si fa il contrario abbassando il livello dell’offerta culturale per non perdere audience. E per conferire un’aurea di mistero a cose spesso insignificanti i promotori dell’arte contemporanea prediligono cose contorte ed incomprensibili che generano sconcerto nel pubblico. Se l’arte, quella vera, l’arte dei Cézanne, dei Picasso, dei Brancusi e dei Malewitch non fu capita allora, il fatto che spesso non si capisca neppure l’arte contemporanea è garanzia di qualità ed autenticità.. No?
Abbassare il livello dell’offerta culturale per incrementare la quantità di pubblico pagante.
Da qui è partito un altro filone del contemporaneo che consiste in un recupero del passato spacciato come novità: il Neorealismo, il Neoclassicismo, Post-Moderno. Neo, trans e post che in buona sostanza significano incapacità di dare nuova forma plastica all’odierna realtà.
Ricordo una conferenza a Palazzo Taverna a Roma verso la metà degli anni Settanta. Fra i presenti c’era anche l’allora futuro professor Oliva il quale, dopo gli scarsi risultati conseguiti come artista concettuale, preparava la riscossa che secondo lui consisteva nel recuperare la manualità della pittura. Come dicevo nella pagina precedente, era questo un problema tutto suo poiché noi la pittura.. la buona pittura.. non l’avevamo affatto dimenticata.
Dopo aver aver stabilito sinergie commerciali con alcune gallerie nordamericane, durante detta conferenza il nostro dichiarava che “l’America importa Carlo Marx ed esporta Charlie Marx” dove “Carlo Marx” sta per le proposte “rivoluzionarie” dell’Oliva e “Charlie Marx” per l’agognato successo oltreoceano. Un modo piuttosto patetico per sposare la brama di gloria e quattrini con l’allora doverosa obbedienza al Marxismo.
Estetica ed etica.
“La coscienza dell’artista è uno specchio puro e fedele dov’egli deve poter riflettere la sua opera, ogni giorno, appena alzato, senza timore di arrossirne. La responsabilità permanente del creatore verso sé stesso e verso il mondo non è una parola vuota: aiutando l’universo a costruirsi, l’artista mantiene la sua dignità personale” (Henri Matisse)
Nella primavera del 1925 il critico d’arte olandese Paul Sanders incarica suo fratello di acquistare un’opera di Piet Mondrian. Ritenendo eccessiva la somma ricevuta, il maestro olandese gli consegnerà due opere. Siamo lontani anni luce dagli odierni faccendieri camuffati da artisti a cui non bastano somme esorbitanti per cose inconsistenti.
Chi lavora solo per conseguire fama e quattrini non può attendere, ma un vero artista non lavora se non per obbedire ad un dettato interiore; costi quel che costi ed ovunque quel sentiero lo conduca. Un artista crede nel suo cammino e non si cura del giudizio altrui. Da giovane artista sconosciuto Matisse diceva: “se Cézanne ha ragione, anch’io avrò ragione”.
Il tempo gli ha dato ragione. Il tempo ci darà ragione.
“L’arte è ciò che il mondo diventerà, non ciò che il mondo è.” (Karl Kraus)